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Lo scrisse Pietro Giordani. Lo ribadisce Pietro Citati nel suo libro. Leopardi fa spavento. La sua mente fa spavento. Impossibile, una volta entrati in lui, uscirne e impossibile è comprendere anche solo una parte di Leopardi. Tuttavia, come sempre accade con lui, lo spavento non è privo di un dolce piacere.

E così la mente di Leopardi non è un’oscuro labirinto sotterraneo, come può essere quella di Schopenhauer……no è luminosa e celeste, glauca come i suoi occhi, cristallina come il suo sorriso. E’ come il cielo qui in Irlanda: vasta, avvolgente, infinita. La mutevolezza costante di quest’uomo è inimmaginabile. Chi, prima e dopo di lui, fu capace di amare così tanto la natura e di disprezzarla con medesimo ardore? Nelle Operette Morali ella è la Natura Matrigna che accoglie l’islandese e lo uccide. Nei Canti è la natura di commuovente bellezza delle Ricordanze. La luna, la sua amata luna è vittima dell’eterna variazione leopardiana. Mille sono gli aggettivi che la descrivono. Ma quest’astro non può consolare il poeta, e lo sguardo dell’uomo è come quello dell’amante respinto. L’amore verso la luna è univoco e terribile, è mal di luna. E così, dolcemente, amore e amarezza si mischiano, si uniscono e perfettamente si modulano nelle poesie. Capitò quindi a Leopardi di consolarsi  guardando la luna dalla finestra, e capitò anche che di fronte all’indifferente bellezza di essa un’angoscia si impadronisse di lui e che iniziasse a “gridare come un forsennato”. Non riesco a leggere i Canti e le Operette Morali senza perdermi, senza trovarmi dispersa in questo complesso sistema di contraddizioni. Ma naufragarvi è dolcissimo perché la verità univoca è impossibile; lo scrisse anche lui, il dubbio è l’unica verità. L’unico modo per comprendere l’universo è attaccarlo da ogni parte. Amarlo, odiarlo, sminuzzarlo, limarlo. E prima di lui lo scrisse Shakespeare “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Ma se c’è qualcuno che è riuscito a comprendere il flusso segreto del mondo questo è Leopardi. Ci vuole coraggio ad affacciarsi in lui perché dietro ogni felicità si nasconde la lama affilata della ragione, la terribile visione del tutto. Come sopportare senza impallidire un lamento doloroso come A se stesso? Quante u ci sono in questa poesia? Un animale ferito recita le stesse parole. Poi giro pagina e trovo Aspasia che non è poesia, è dignità allo stato puro. Ed eros, come erotica è la natura che sdegnosa si allontana da Saffo/Leopardi nell’Ultimo Canto.

L’amore in Leopardi è un sentimento soverchiante. Poche voci nello Zibaldone hanno tante declinazioni come quella dedicata all’amore; egli ne provò di tutti i tipi e avvertì più profondamente di tutti la morbosa condizione dell’innamorato. Tuttavia la logica perfetta della sua mente permise a lui di analizzarne ogni aspetto e di trovarne causa ed effetto; non resisteva all’amore, gli si slanciava contro pur sapendo che a una creatura come lui era impossibile. Un tremendo e spaventoso salto nel buio, un protendersi verso l’estremità del mondo. E c’è una cosa che Leopardi teorizzò fino allo sfinimento: l’amor proprio. Questo non è altro che il bene che si vuole a sè stessi, il desiderio di provare felicità. Più un uomo è grande, sensibile, più il suo desiderio di felicità aumenta, i piaceri comuni non riescono a colmare l’insoddisfazione cronica che prova. E ancora una volta Leopardi non teme di dare una risposta “terribile ed awful“: la felicità per le grandi menti è impossibile, irraggiungibile. Essa è come un bagliore, una luce in lontananza. E’ progioniera della noia. Oh, la noia, chi la conobbe meglio di lui? Chi si distese in essa per assaporarne il veleno? Per Leopardi la noia ha mille forme: è come l’aria, che si insinua in ogni spazio lasciato vuoto da altre sensazioni. Ma è anche una colonna adamantina che si erge nel petto e che raggela ogni slancio. La noia è ovunque, permea ogni attività: lo scrivere, il comporre, il pensare. E Leopardi, che non era un vigliacco, mai si nascose ad essa e mai permise al suo lettore di dimenticarla. Non amava chi si celava dietro paraventi metafisici, la realtà doveva essere affrontata e sopportata. Sopportata con quel sorriso che ogni suo conoscente definiva di una sensibilità e bellezza inaudite.

Quindi mentre noi leggiamo atterriti le sue opere, egli ci salva sorridendo. E, ancora una volta, le sfumature del suo sorriso non si contano. Ironico e spietato nelle Operette, quasi infantile in certi Canti, maturo, saggio, antichissimo ne La Ginestra. E poi c’è lo Zibaldone: l’unico libro che racchiude tutti i libri del mondo. Il testo che dovrebbe salvarsi dopo una catastrofe. E non perché sia perfetto. Ma perchè contiene tutto, è la mente dell’umanità messa a nudo, le debolezze, le verità e i loro opposti, la filosofia, la letteratua, la scienza. Non un libro, una cattedrale di cristallo, una mirabile opera del genere umano. Ed è stata scritta da una persona sola. Quello che scorre nelle nostre menti di oggi come di mill’anni fa è riflessa in quelle pagine. Vertiginoso è iniziare a leggerlo e comprendere come davvero l’uomo in certi casi non abbia limite. Ed è questo il regalo più grande di Leopardi: dimostrarci che “ogni cosa è pronta, se i nostri cuori lo sono” (anche questo l’ha detto, ancora una volta, Shakespeare).

E poi c’è il corpo di Leopardi, che fa spavento. Microscopico, deforme, malato. Quasi nessuna sofferenza è stata risparmiata a quest’uomo. Il dolore era nella mente e nel corpo, la malinconia un tarlo, la bruttezza una condanna. Questa è l’ennesima contraddizione di Leopardi: quasi che tutto il suo genio avesse prosciugato il corpo, come se gli dèi malevoli gli avessero concesso solo il minimo indispensabile per sopravvivere fisicamente…….e l’eccessiva sapienza per pensare. Ma ancora una volta Leopardi si (e ci) salva: chi, in coscienza, pensa all’uomo Leopardi quando legge le sue opere? Quando ci si trova di fronte a lui è la mente, lo spirito che ci incalzano. Ed essi sono bellissimi. Sono infiniti e lucenti, sono come una landa inesplorata, sono come l’oceano, come i fiumi della terra che si uniscono nel mare. Ed è questa immagine sublime, terribile e unica che ecceggia dietro ogni suo scritto. Ma se si ascolta bene, c’è un’altra cosa che accompagna le opere di Leopardi: la sua voce che ci guida, ci esorta a non temere la strada che stiamo percorrendo perché lui l’ha già spianata per noi, che siamo solo umani.

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